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Catechismo in domande e risposte

05. I comandamenti di Dio

Dio ha dato all'uomo dei comandamenti, nei quali annuncia la sua volontà per il bene dell'umanità. Nei comandamenti si esprime quali debbano essere le caratteristiche dei rapporti dell'uomo con Dio. Inoltre i comandamenti sono la base per una buona convivenza tra le persone.

Chi riconosce per fede Dio quale l'Onnipotente, l'Onnisciente e il Padre dell'amore, s'interessa della sua volontà e s'impegna a orientare i propri pensieri e il proprio agire secondo la volontà di Dio e con ciò secondo i suoi comandamenti.

Nella consapevolezza che Dio ha dato i comandamenti per amore nei confronti dell'uomo, egli li adempirà non per paura di punizione, ma per amore verso Dio.

Alla domanda quale fosse «nella legge, il gran comandamento» Gesù rispose con due citazioni tratte dalla legge mosaica: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: Ama il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti» (Matteo 22, 36-40). Il comandamento di amare Dio e il prossimo è chiamato anche «il duplice comandamento dell'amore».

Amore per il prossimo: vedi anche la domanda 155.

L'amore dell'uomo per Dio ha la sua origine nell'amore di Dio per gli uomini. L'uomo vuole contraccambiare questo amore: «Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo» (I Giovanni 4, 19).

L'amore per Dio deve dare un'impronta all'indole dell'uomo e determinare il suo comportamento.

Quello di amare Dio è un comandamento che coinvolge tutta la persona e richiede un impegno assoluto: «Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua» (Marco 12, 30). Questo significa volgersi incondizionatamente verso Dio.

«Ama il tuo prossimo come te stesso» (Marco 12, 31; cfr. Levitico 19, 18).

Il comandamento esorta a trattare amorevolmente ogni persona. Mette un chiaro limite all'egoismo.

Nella parabola del buon samaritano (cfr. Luca 10, 25-37) Gesù illustra che l'amore per il prossimo significa essere misericordiosi e agire in tal senso.

Tutta l'estensione del pensiero di Gesù risulta dalla sua richiesta di amare persino il nemico.

"Voi avete udito che fu detto: Ama il tuo prossimo (Levitico 19, 18) e odia il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici, e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli" (Matteo 5, 43-45).

L'esempio del buon samaritano dimostra che: da un lato il prossimo è chi ha bisogno di aiuto, dall'altro lato il prossimo è colui che aiuta. Perciò il prossimo può essere chiunque con cui entriamo in contatto.

Oltre alla parabola del buon samaritano, Gesù ha riassunto cose fondamentali in merito all'amore per il prossimo nella cosiddetta «regola d'oro».

La locuzione «regola d'oro» fu coniata nel XVII secolo in Europa, per le parole di Matteo 7, 12. Oggi la «regola d'oro» è un principio di convivenza largamente diffuso, anche fuori dal cristianesimo.

Con «regola d'oro» s'intendono le parole che il Signore pronunciò nel sermone sul monte: «Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro; perché questa è la legge e i profeti» (Matteo 7, 12).

Ciò che Gesù insegnò ai suoi apostoli vale altrettanto per la comunità: «Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Giovanni 13, 34-35). Questa pretesa nei confronti dei suoi discepoli va dunque pure oltre la «regola d'oro».

Il comandamento dell'amore per il prossimo, cioè di aiutare il prossimo e di prestare aiuto in situazioni di bisogno, deve dimostrarsi soprattutto nella comunità: «Facciamo del bene a tutti; ma specialmente ai fratelli in fede» (Galati 6, 10). Tutti gli appartenenti alla comunità hanno il compito di trattarsi con cordiale misericordia, gentilezza, umiltà, mansuetudine e pazienza.

«L'amore reciproco» permette di accettare il fratello e la sorella così come sono (cfr. Romani 15, 7) e preserva da inconciliabilità, pregiudizi e valutazioni sprezzanti. Esso è una forza che consolida i legami nella comunità, suscita partecipazione e comprensione reciproche e promuove la disponibilità ad aiutare.

Da "l'eccellenza dell'amore": "L'amore è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa" (I Corinzi 13, 4-7).

Il primo comandamento: «Io sono il Signore, il tuo Dio, non avere altri dèi oltre a me.»

Il secondo comandamento: «Non pronunciare il nome del Signore, Dio tuo, invano; perché il Signore non riterrà innocente chi pronuncia il suo nome invano.»

Il terzo comandamento: «Ricòrdati del giorno del riposo per santificarlo.»

Il quarto comandamento: «Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati e affinché venga a te del bene sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà.»

Il quinto comandamento: «Non uccidere.»

Il sesto comandamento: «Non commettere adulterio.»

Il settimo comandamento: «Non rubare.»

L'ottavo comandamento: «Non attestare il falso contro il tuo prossimo.»

Il nono comandamento: «Non desiderare la casa del tuo prossimo.»

Il decimo comandamento: «Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo.»

[da Esodo 20, 1-17]

La denominazione "Dieci Comandamenti", rispettivamente "Decalogo", è basata sulla formulazione biblica «dieci parole» (deka logoi in greco) in Esodo 34, 28 e Deuteronomio 10, 4. La Bibbia stabilisce il loro numero a dieci, senza però numerarli. La numerazione in uso nella Chiesa Neo-Apostolica risale a una tradizione del quarto secolo dopo Cristo.

Dio diede i Dieci Comandamenti al popolo d'Israele tramite Mosè presso il monte Sinai (cfr. Esodo 19-20). Erano incisi su tavole di pietra.

I Dieci Comandamenti regolavano il comportamento degli Israeliti sia nei confronti di Dio sia tra di loro. L'annuncio dei Dieci Comandamenti fa parte del patto che Dio concluse con il popolo d'Israele. L'osservanza dei Comandamenti era un dovere ed era benedetto da Dio. Nel popolo d'Israele già i bambini imparavano a memoria i Comandamenti.

Fino a oggi i Dieci Comandamenti hanno conservato la loro grande importanza nel giudaismo.

"Egli vi annunziò il suo patto, che vi comandò di osservare, cioè i dieci comandamenti, e li scrisse su due tavole di pietra" (Deuteronomio 4, 13).

Sì, Gesù riaffermò i Dieci Comandamenti, anzi persino ne inasprì alcuni, attribuendo ai comandamenti un nuovo e più profondo senso e allargando il loro iniziale ambito di validità.

Infine i suoi apostoli fecero capire che già la trasgressione di un solo comandamento rappresenta la trasgressione di tutta la legge: «Chiunque infatti osserva tutta la legge, ma la trasgredisce in un punto solo, si rende colpevole su tutti i punti» (Giacomo 2, 10).

"Voi avete udito che fu detto agli antichi (Esodo 20, 13; 21, 12): Non uccidere: chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribunale; ma io vi dico: chiunque si adira contro suo fratello sarà sottoposto al tribunale" (Matteo 5, 21-22).

"Voi avete udito che fu detto: Non commettere adulterio. Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" (Matteo 5, 27-28).

Nei Dieci Comandamenti Dio si rivolge a tutti gli uomini. Ogni singolo è responsabile davanti a Dio di come si comporta e di come conduce la sua vita.

I Comandamenti di Dio sono superiori alle leggi statali. Soltanto la volontà di Dio è decisiva se qualcuno trasgredisce i Comandamenti di Dio, e non quella del legislatore.

Ogni trasgressione dei Comandamenti di Dio rappresenta un peccato. Con il peccato l'uomo si rende colpevole davanti a Dio. L'entità della colpa derivante dal peccato può essere differente. Soltanto Dio stabilisce quanto sia grande la colpa. In singoli casi può darsi che dal peccato risulti una colpa pressoché nulla nei confronti di Dio.

Rapporto tra peccato e colpa: vedi la domanda 230. e la rispettiva spiegazione

Amare Dio e il prossimo in modo perfetto, significherebbe adempiere tutta la Legge (cfr. Romani 13, 8 e 10). Questo fu possibile soltanto a Gesù Cristo.

Legge: vedi le domande 138., 271. ss

«Io sono il Signore, il tuo Dio, non avere altri dèi oltre a me.»

Il primo comandamento significa che Dio è Signore su ogni cosa. Soltanto a Lui, il Creatore di tutte le cose, spettano adorazione e venerazione. Bisogna ubbidire alla sua volontà.

Nei paesi attorno a Israele regnava il politeismo. Con il primo comandamento Dio fece capire di essere l'unico Dio. Perciò soltanto a Lui spetta l'adorazione e si deve servire soltanto Lui. «Ascolta, Israele: Il Signore, il nostro Dio, è l'unico Signore. Tu amerai dunque il Signore, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima tua e con tutte le tue forze» (Deuteronomio 6, 4-5).

Monoteismo: vedi la spiegazione in merito alla domanda 53.

Il termine "politeismo" deriva dalle parole greche poly e theos, le quali significano "molto" e "dio"; è usato per denominare la venerazione di più divinità. – Persino il re Salomone, nell'età avanzata voltò le spalle al Dio vivente e fece sacrifici agli idoli dei Moabiti e degli Ammoniti (cfr. I Re 11, 7 e 8).

Ogni venerazione o adorazione di qualsiasi cosa che gli uomini potrebbero considerare come divinità all'infuori di Dio, il Creatore, rappresenta un peccato. Ne fanno parte la venerazione di esseri viventi, fenomeni naturali, oggetti, esseri spirituali effettivi o immaginari.

Perciò è una trasgressione del primo comandamento, considerare come divinità, per esempio: statue, raffigurazioni di animali, pietre, amuleti, nonché corpi celesti, montagne, alberi, il fuoco, la tempesta ecc.

Anche la realizzazione e la venerazione del vitello d'oro ai tempi dell'Antico Testamento, rappresentavano una trasgressione di questo comandamento di Dio: «E tutto il popolo si staccò dagli orecchi gli anelli d'oro e li portò ad Aaronne. Egli li prese dalle loro mani e, dopo aver cesellato lo stampo, ne fece un vitello di metallo fuso. E quelli dissero: O Israele, questo è il tuo dio che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto!» (cfr. Esodo 32, 3-4).

In Esodo 20, 4-5 si proibisce di fare immagini di ciò che Dio ha creato: «Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire.»

Il divieto di fare immagini e di venerarle deve essere considerato sullo sfondo che ci furono immagini e statue venerate e adorate quali divinità.

No, non è vietato realizzare quadri, sculture, fotografie o filmati. Ma tali raffigurazioni non devono essere né venerate né adorate.

Il primo comandamento afferma che c'è un Dio solo. È il Dio trino: Padre, Figlio, Spirito Santo. Nel Nuovo Testamento il primo comandamento non si riferisce soltanto a Dio, il Padre, bensì anche a Gesù Cristo e allo Spirito Santo.

Trinità: vedi le domande 61. ss

Il primo comandamento ci esorta a onorare Dio per amore. Si dà onore a Dio con l'adorazione, l'ubbidienza e il timor di Dio. Il timor di Dio nasce dall'amore per Dio. Non è un'espressione di paura, bensì di umiltà, di amore e fiducia nei confronti di Dio.

Bisogna accogliere Dio nel modo in cui si è manifestato nel mondo: in Gesù Cristo (cfr. Giovanni 14, 9).

È una trasgressione del comandamento, rendere se stesso, col potere, l'onore, il denaro, tramite idoli o anche nella propria persona, simile a un dio, al quale debba subordinarsi ogni altra cosa. Altrettanto si trasgredisce il primo comandamento, facendosi delle idee di Dio secondo i propri desideri o le proprie opinioni. Nello stesso modo si trasgredisce il comandamento, se si considerano divinità statue, alberi, fenomeni naturali ecc. Atti contrari al primo comandamento sono inoltre: satanismo, vaticinio, magia, stregoneria, evocazione di spiriti o di morti.

Il termine "magia" viene dalla lingua greca e significa "incantesimo, illusione". Della magia fa parte la credenza di poter influenzare o dominare persone, animali, anche eventi e oggetti, tramite precipue azioni (rituali) e/o parole (formule magiche). Sovente la magia è messa in relazione con il male.

Vaticinatori sono persone convinte di poter vedere, rispettivamente predire il futuro. Formulano le loro previsioni, basandosi su segni misteriosi che loro interpretano. Ai tempi dell'Antico Testamento il vaticinio era una prassi consueta alle corti reali, ma nel popolo d'Israele era severamente proibito.

Evocazione dei morti è una forma particolare di vaticinio: si cerca di entrare in contatto con persone defunte, per interrogarle sul futuro; cfr. I Samuele 28, 3 ss

"Magnificate [soltanto] il nostro Dio!" (cfr. Deuteronomio 32, 3).

«Non pronunciare il nome del Signore, Dio tuo, invano; perché il Signore non riterrà innocente chi pronuncia il suo nome invano.»

Il secondo comandamento ammonisce di ritenere santo tutto ciò che ha a che fare con Dio e con il suo nome.

Quando Dio si fece riconoscere a Mosè nel pruno ardente, gli disse il suo nome: «Io sono colui che sono.» In questo caso il nome non è soltanto un segno distintivo, bensì il nome allude anche alle caratteristiche di chi lo porta. Con ciò Dio esprime che nella sua indole è immutabile ed eterno. Il singolo essere umano ha percezioni diverse nei riguardi di Dio, ma Lui rimane sempre uguale.

In nessun modo si devono ledere l'indole e la maestà di Dio. Per profondo rispetto, i giudei non esprimono del tutto il nome «Io sono colui che sono» (ebraico: Jahwe). Vogliono evitare ogni uso improprio, anche quello involontario, del nome di Dio.

"Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono. Poi disse: Dirai così ai figli d'Israele: l'IO SONO mi ha mandato da voi»" (Esodo 3, 14).

Gli uomini devono parlare di Dio con amore, profondo rispetto e piena consapevolezza delle loro responsabilità.

Quando Gesù insegnò a pregare, disse di rivolgersi a Dio con l'appellativo «Padre nei cieli» (cfr. Matteo 6, 9).

Dicendo in preghiera: «Io ho fatto loro conoscere il tuo nome» (Giovanni 17, 26), Gesù Cristo illustrò la natura di Dio, l'amore (cfr. I Giovanni 4, 16).

Dobbiamo ritenere santo tutto ciò che sta in relazione con Dio e con il suo nome. Questo vale per il nostro modo di pensare, di parlare e per il modo di comportarci.

Quali cristiani siamo particolarmente in obbligo verso il nome del Signore Gesù Cristo. Quali figli di Dio, portando il nome del Padre e del Figlio, abbiamo una grande responsabilità di mantenere santo il nome di Dio.

Un abuso lampante del nome di Dio è il sacrilegio, nel quale si schernisce e si insulta Dio consapevolmente. Anche chi bestemmia nel nome di Dio o, mentendo, si riferisce a Dio, abusa del nome di Dio. Già l'uso spensierato dei termini «Dio», «Gesù Cristo» o «Spirito Santo» in modi di dire disinvolti o in barzellette è una trasgressione del secondo comandamento.

Nel corso della storia gli esseri umani hanno abusato spesso del nome di Dio, per arricchirsi, per andare in guerra (per es. le crociate), per discriminare, torturare e uccidere altre persone – tutto questo, pronunciando il nome di Dio.

Il secondo comandamento è l'unico a considerare una punizione in caso di trasgressione. La Bibbia non menziona però il genere di questa punizione. Per noi, lo stimolo a osservare questo comandamento dovrebbe essere soprattutto l'amore e il rispetto per Dio, e non la paura di un'eventuale punizione.

Nel sermone sul monte, Gesù ha proibito di giurare. Questo è da intendere come valido per il giurare spensierato nella vita quotidiana, ma non per il giuramento, per esempio, in tribunale.

Chi in una formula prescritta invoca Dio quale testimone («Che Dio mi aiuti!»), per attestare i propri obblighi in verità davanti a Dio, afferma con questo pubblicamente la sua fede in Dio, l'Onnipotente e l'Onnisciente.

«Ricòrdati del giorno del riposo per santificarlo.»

Con il terzo comandamento si esorta a differenziare un giorno della settimana dagli altri, per adorare Dio e per occuparsi della sua parola. Per i cristiani questo giorno è la domenica, il giorno in cui Gesù Cristo è risorto.

Alla fine della creazione, Dio riposò e santificò il settimo e ultimo giorno. Il giorno di riposo è costituito quale giorno di festa, per ringraziare e onorare Dio per il suo agire creativo.

Già prima di dare le sue leggi sul Sinai, Dio stabilì il sabato quale giorno da ritenere santo. Durante il cammino del popolo d'Israele attraverso il deserto, Mosè proclamò: «Questo è quello che ha detto il Signore: Domani è un giorno solenne di riposo: un sabato sacro al Signore» (Esodo 16, 23).

Di sabato il popolo d'Israele doveva riposarsi dal lavoro e dedicarsi indisturbatamente a Dio. Il sabato serviva a onorare il Creatore e a commemorare la liberazione d'Israele dalla prigionia in Egitto. Benedizione era promessa a colui che onorava il sabato, evitando di fare i suoi affari (di lavoro e di «discutere le sue cause»; cfr. Isaia 58, 13-14).

Santificare il sabato – settimo giorno del calendario giudeo – dagli Israeliti era ritenuto parte della legge. Di sabato Gesù andò nella sinagoga e guarì dei malati, il che nella concezione degli Israeliti era considerato un lavoro e con ciò una trasgressione del comandamento. Con questo Gesù, signore del sabato, affermò che fare del bene agli uomini era da valutare più altamente di un'osservanza puramente formale del terzo comandamento.

"Sinagoghe" sono gli edifici in cui le comunità giudaiche si riuniscono per il loro servizio divino sin dalla prigionia babilonese. Erano servizi divini di sola parola, fatti di preghiere, letture dalle Scritture sacre e le rispettive interpretazioni.

"Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato" (Marco 2, 27).

I cristiani santificano la domenica quale «giorno di festa», perché Gesù è risuscitato dai morti di domenica. Perciò la santificazione della domenica da parte dei cristiani è anche un professarsi per la risurrezione di Gesù Cristo.

Un accenno al significato della domenica quale giorno festivo si trova in Atti degli apostoli 20, 7: «Il primo giorno della settimana, mentre eravamo riuniti per spezzare il pane, Paolo, […] parlava ai discepoli.» Qui e anche in I Corinzi 16, 2 è messo in risalto il primo giorno della settimana, la domenica.

La domenica sia un giorno di quiete, un giorno di festa per l'anima. Santifichiamo la domenica soprattutto adorando Dio nel servizio divino, accettando con fede la sua parola, ricevendo il perdono dei peccati con un cuore pentito e gustando degnamente il corpo e il sangue di Cristo nel sacramento della Santa Cena. Santificare la domenica significa anche che siano approfonditi e preservati gli effetti del servizio divino.

Chi non può recarsi al servizio divino santifica la domenica, cercando in preghiera il collegamento con Dio e con la comunità. Questo vale per esempio per chi deve lavorare e per chi è malato, invalido o anziano.

Il comandamento di santificare il giorno di festa invita il credente a esaminare fino a che punto le sue attività sono conciliabili con il significato del giorno consacrato al Signore.

«Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati e affinché venga a te del bene sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà.»

Il quarto comandamento si rivolge a persone di qualsiasi età e chiede loro di dare al padre e alla madre il dovuto rispetto e la giusta stima. È l'unico comandamento che promette un compenso.

Il quarto comandamento, come anche tutta la legge mosaica, ha un riferimento con il cammino degli Israeliti nel deserto. I membri più anziani del clan dovevano essere aiutati sul faticoso cammino, dando loro il dovuto onore. La promessa di benessere era interpretata per la vita terrena.

In Israele questo comandamento era inteso anche come disposizione rivolta a persone adulte, di prendersi cura dei loro genitori diventati anziani e di assisterli in caso di malattia.

Legge mosaica: vedi le domande 272. ss

Di Gesù dodicenne leggiamo che si sottometteva con ubbidienza a sua madre Maria e al marito di lei, Giuseppe: «Discese con loro, andò a Nazaret, e stava loro sottomesso» (Luca 2, 51). L'affetto di Gesù per sua madre è riconoscibile da come Lui, nell'ora della sua morte, la affidò alle cure dell'apostolo Giovanni (cfr. Giovanni 19, 27).

Nelle lettere dell'apostolo Paolo i bambini sono espressamente esortati all'ubbidienza verso i loro genitori.

Ai figli di qualsiasi età è dato il compito di onorare i genitori. A dipendenza dell'età, del contesto sociale e dei costumi nel rispettivo ambito di vita, l'applicazione del comandamento può presentarsi in modi differenti.

Un limite al dovere d'ubbidienza del figlio possono rappresentare le parole dell'apostolo Pietro: «Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini» (Atti degli apostoli 5, 29).

Con la locuzione "contesto sociale" si intendono le condizioni di vita di una persona, delle quali fanno parte le origini, la famiglia e il parentado, il reddito e la sostanza, la formazione, la professione, l'appartenenza religiosa e altre circostanze della sua vita.

Se i figli onorano i propri genitori per amore e gratitudine, se li stimano, ubbidiscono a loro e si prendono cura di loro, questo sarà premiato con la benedizione di Dio.

Nella comprensione del popolo ai tempi dell'Antico Testamento «lunga vita» era sinonimo di benedizione divina. Nel Nuovo Testamento la benedizione di Dio si manifesta soprattutto in beni spirituali.

Benedizione spirituale: vedi la domanda 268.

Beni spirituali provengono da Dio e rendono il credente "ricco". Beni spirituali sono, tra le altre cose, l'amore, la pazienza, la gioia proveniente dallo Spirito Santo, la conoscenza della verità del Vangelo, la figliolanza di Dio, il perdono dei peccati, i sacramenti, la speranza nell'adempimento delle promesse di Dio e nel poterne essere partecipe.

Sì, per quanto riguarda la loro conduzione di vita e il loro incarico educativo, i genitori hanno una grande responsabilità e, con un comportamento secondo il compiacimento di Dio, devono aver cura affinché ai figli non sia reso difficile stimare i propri genitori. Se non adempiono questi doveri, non possono neppure aspettarsi ubbidienza dai propri figli.

Certamente dal quarto comandamento non si può dedurre un dovere d'ubbidienza dei figli verso i genitori, se in tale contesto i genitori o i figli trasgredissero dei comandamenti divini.

«Non uccidere.»

La vita è un dono di Dio. Lui solo è Signore della vita e della morte. Nessuno ha il diritto di mettere fine a una vita umana.

La traduzione letterale dall'ebraico è: «Non commettere omicidio.» Perciò il quinto comandamento vietava l'uccisione arbitraria di un essere umano. Esplicitamente non si riferiva al servizio in guerra né alla pena capitale.

Gesù non limitava l'osservanza di questo comandamento soltanto all'adempimento letterale. Essenziale era per Lui la posizione interiore, l'indole dell'uomo.

Perciò disse: «Voi avete udito che fu detto agli antichi: Non uccidere: chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribunale; ma io vi dico: chiunque si adira contro suo fratello sarà sottoposto al tribunale» (Matteo 5, 21-22). In I Giovanni 3, 15 si legge inoltre: «Chiunque odia suo fratello è omicida».

L'inizio e la fine della vita umana stanno unicamente nella mano di Dio. Soltanto Lui è il Signore della vita e della morte.

Anche se oggi molte volte sulla terra regna la violenza e molte persone danno solo poco valore alla vita altrui, il comandamento è tuttora valido. Oltre alla proibizione di porre fine a una vita umana, esso comprende contemporaneamente il compito di apprezzare, proteggere e preservare la vita umana.

Ogni trasgressione del quinto comandamento rappresenta un peccato. La colpa che ne deriva davanti a Dio può variare.

Sì. La vita non ancora venuta al mondo è da stimare e proteggere, perché si deve partire dal presupposto che sin dall'attimo del concepimento sia presente una vita umana data da Dio.

Sì, perché si mette fine a una vita donata da Dio.

Sì, anche l'uccisione per legittima difesa rappresenta una trasgressione del quinto comandamento.

Uccidere in guerra è una trasgressione del quinto comandamento. Dal comandamento deriva per ognuno la responsabilità di evitare il più possibile l'uccidere. Nel singolo caso può darsi che dall'azione risulti davanti a Dio una colpa pressoché nulla.

Colpa nei confronti di Dio: vedi la domanda 230.

Chi pratica eutanasia attiva, vale a dire chi agisce in modo da provocare la morte di una persona in fin di vita, trasgredisce il quinto comandamento.

In osservanza di severe condizioni, l'eutanasia passiva, cioè l'interruzione di misure atte a prolungare la vita, non è considerata una trasgressione del quinto comandamento. La decisione di rinuncia a misure per prolungare la vita spetta in prima linea al paziente stesso. In mancanza di una rispettiva dichiarazione, questa decisione dovrà essere presa di comune accordo tra i medici e i parenti, unicamente tenendo conto, in modo responsabile, degli interessi del morente.

Nessun uomo ha il diritto di porre termine a una vita umana. Sotto questo aspetto l'esecuzione della pena di morte è contraria all'ordinamento divino. Inoltre la Chiesa Neo-Apostolica non considera la pena capitale un mezzo idoneo di prevenzione e di protezione della società.

No, l'uccisione di animali non è considerata nel quinto comandamento. Dio permette esplicitamente che gli animali servano al nutrimento dell'uomo (cfr. Genesi 9, 3). Tuttavia, anche la vita degli animali va rispettata; questo risulta dalla corresponsabilità dell'uomo nel proteggere la creazione.

«Non commettere adulterio.»

Il matrimonio è la comunione tra uomo e donna, voluta da Dio e intesa per tutta la vita. Esso è basato su una libera decisione e volontà di entrambe le parti. È dichiarato pubblicamente con una promessa di reciproca fedeltà.

Commette adulterio la persona sposata che ha un rapporto sessuale con qualcuno che non è il proprio coniuge. Parimenti commette adulterio la persona non sposata che ha un rapporto sessuale con qualcuno che è vincolato in un matrimonio.

Già ai tempi dell'Antico Testamento il matrimonio era considerato un patto protetto da Dio e veniva benedetto per mezzo di una preghiera. L'adulterio veniva punito con la pena di morte.

"Noi siam figli di santi, e non possiamo unirci come i Gentili che non conoscono Dio. Stando alzati tutti e due si misero a pregare con fervore, per essere incolumi" (Tobia 8, 5-6).

Gesù Cristo si dichiara decisamente a favore della monogamia che rappresenta la forma di convivenza tra uomo e donna, voluta da Dio e la quale si addice al cristiano credente.

Gesù interpretò anche il sesto comandamento oltre il suo significato iniziale: nel sermone sul monte disse: «Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Matteo 5, 28). Questo significa che si possa commettere adulterio «nel cuore», ossia nel pensiero, pur vivendo una vita irreprensibile.

"Monogamia" significa che un uomo è sposato con una donna sola e una donna con un solo uomo. – L'Antico Testamento riferisce spesso di "poligamia", nel senso che un uomo era sposato con diverse donne.

Nel Nuovo Testamento il divorzio è valutato come trasgressione del sesto comandamento: «L'uomo, dunque, non separi quel che Dio ha unito» (Marco 10, 9). L'unica eccezione, per la quale si ammette il divorzio, è data nel caso di adulterio del coniuge (cfr. Matteo 19, 9).

Le affermazioni del Nuovo Testamento sul divorzio servivano soprattutto a migliorare la situazione della donna, la quale nell'antichità aveva soltanto dei diritti molto limitati. Si cercava di proteggere la donna dalla possibilità di essere arbitrariamente ripudiata dal marito.

Il matrimonio è contratto come indissolubile (cfr. Matteo 19, 6; Marco 10, 9). Su questo sfondo si comprende che bisogna proteggere e promuovere il matrimonio.

Dal comandamento risulta anche che i coniugi devono avere reciproco affetto ed essersi fedeli. Fa parte dei vincoli risultanti dal comandamento che i coniugi si impegnino seriamente ad andare insieme sulla via della vita nel timor di Dio e nell'amore.

Persone divorziate o in fase di divorzio hanno il loro posto nella comunità e vengono curate dai loro assistenti spirituali senza pregiudizio. Chi è divorziato o sta divorziando non è escluso dalla ricezione dei sacramenti.

Se lo desiderano, a persone divorziate che vogliono contrarre un nuovo matrimonio, si dispensa la benedizione nuziale. In questo modo si vuole dare loro l'opportunità di un nuovo inizio.

Bisogna sempre tenere presente che Gesù veniva incontro agli uomini non con punizione severa, bensì con amore e grazia (cfr. Giovanni 8, 2-11).

«Non rubare.»

È vietato mettere le mani sui ciò che è del prossimo. Non è permesso appropriarsi illecitamente di quello che è di proprietà del prossimo, o danneggiarlo.

Inizialmente il comandamento di non rubare si riferiva soprattutto al sequestro di persona. Si trattava allora di proteggere le persone libere dall'essere rapite, vendute o tenute in schiavitù. I delitti contro la proprietà potevano essere regolati (espiati) con un indennizzo materiale, mentre il ratto di persone in Israele era punito con la morte: «Chi rapisce un uomo - sia che poi lo abbia venduto sia che lo tenga ancora prigioniero - dev'essere messo a morte» (Esodo 21, 16).

Anche il furto di possedimenti altrui era passibile di punizione; la legge mosaica pretendeva il risarcimento. «Se uno ruba un bue o una pecora e li ammazza o li vende, restituirà cinque buoi per il bue e quattro pecore per la pecora» (Esodo 22, 1).

Gesù designò il furto come peccato. Il rubare prende origine dalla posizione interiore dell'uomo. «Poiché dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni. Queste sono le cose che contaminano l'uomo» (Matteo 15, 19-20).

Rappresenta un furto nel vero senso della parola quando si sottrae un possedimento altrui di natura materiale o spirituale. Ma anche l'inganno, l'usura, lo sfruttamento di una situazione precaria, la malversazione, la frode fiscale, la corruzione e lo sperpero di beni affidati sono da considerarsi una trasgressione del settimo comandamento.

Inoltre il settimo comandamento esorta a non derubare il prossimo del suo onore e di non intaccare la sua buona reputazione e dignità quale persona umana.

Gli usurai sfruttano un'altra persona pretendendo un prezzo maggiorato e inadeguato per un prodotto o una prestazione. Una malversazione è data quando qualcuno sottrae dei beni che gli erano affidati. Con il termine "corruzione" si intende da un lato che qualcuno offre prestazioni (soprattutto del denaro) per ottenere qualcosa che non gli spetta (corruzione attiva). D'altro canto significa anche che qualcuno si lascia corrompere (corruzione passiva).

«Non attestare il falso contro il tuo prossimo.»

«Attestare il falso» è l'affermazione non veritiera che riguarda un'altra persona. Ogni «falsa testimonianza» è una menzogna. Il contenuto basilare del comandamento è l'esortazione di parlare e agire conformemente alla verità.

Inizialmente l'ottavo comandamento concerneva la falsa testimonianza in tribunale. Sia una falsa accusa sia una deposizione come testimone non veritiera potevano essere considerate come «falsa testimonianza» nei sensi del comandamento. Se davanti al tribunale si constatò che un testimone aveva attestato il falso, lui fu punito della punizione che sarebbe stata inflitta all'accusato in caso di condanna (cfr. Deuteronomio 19, 18-19).

Gesù Cristo si riferiva più volte all'ottavo comandamento, dichiarando che la trasgressione di questo comandamento è dovuta a una posizione interiore sbagliata e rende l'uomo impuro (cfr. per es. Matteo 15, 18-20).

Oggi, oltrepassando il senso originario, l'ottavo comandamento significa la proibizione di ogni parlare e agire non veritiero. Così anche le bugie ufficiose o "necessarie", le mezze verità, le affermazioni fatte per nascondere il vero stato delle cose e le calunnie sono trasgressioni dell'ottavo comandamento. Anche la vanteria e le esagerazioni, il parlare ambiguo e l'ipocrisia, la diffusione di dicerie, la diffamazione e le adulazioni sono l'espressione di un atteggiamento non veritiero.

Tutti sono tenuti a impegnarsi nella sincerità e veridicità. Anche il comportamento nella vita sociale e professionale deve orientarsi sull'ottavo comandamento.

Affermazioni riguardo a un'altra persona che non siano vere e gli nocciano, che ledano il suo onore o l'offendano, sono chiamate "calunnia" o "diffamazione".

I cristiani sono chiamati a dare una «testimonianza veritiera», avendo fede nel Vangelo, professandolo e conducendo una vita conforme a esso.

«Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo.»

Gli ultimi due comandamenti del Decalogo sono molto simili nei contenuti. Perciò spesso sono considerati come un unico comandamento.

Nella Bibbia questi due comandamenti esistono in due versioni. In Esodo 20, 17 si cita dapprima la casa del prossimo, mentre in Deuteronomio 5, 21 si parla prima della moglie.

Al centro del nono e del decimo comandamento sta l'affermazione: «Non desiderare.» Con questo non si vieta ogni forma di desiderio umano, ma il desiderio peccaminoso per il coniuge del prossimo o per i suoi averi. Un simile desiderio, come anche la trasgressione degli altri comandamenti, è contrario al comandamento dell'amore per il prossimo (cfr. Romani 13, 9).

Se il desiderio concerne ciò che appartiene al prossimo e diventa una brama peccaminosa, ha effetti distruttivi. La brama può accrescere fino a diventare cupidigia e solitamente nasce dall'invidia.

Sin dal principio Satana cerca di sedurre l'uomo al peccato, suscitando in lui il desiderio e la voglia di cose proibite.

Nell'Antico Testamento è descritto un esempio di conseguenze estreme del desiderio per la moglie del prossimo, quando il re Davide commise raggiro, adulterio e assassinio per questo motivo (cfr. II Samuele 11).

Se un desiderio peccaminoso non è vinto, segue la rispettiva azione. Le conseguenze sono descritte in Giacomo 1, 15: «La concupiscenza, quando ha concepito, partorisce il peccato; e il peccato, quando è compiuto, produce la morte.»

In Galati 5, 19-25 si dimostra che il desiderio peccaminoso porta ad azioni peccaminose. Queste sono chiamate «opere della carne». Alla cupidigia la Bibbia contrappone il termine di "castità". La castità si manifesta in autocontrollo e rinuncia.

"Ora le opere della carne sono manifeste, e sono: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sètte, invidie, ubriachezze, orge e altre simili cose; circa le quali, come vi ho già detto, vi preavviso: chi fa tali cose non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo; contro queste cose non c'è legge. Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche guidati dallo Spirito" (Galati 5, 19 ss).

Il nono e il decimo comandamento danno all'uomo il compito di vegliare sulla purezza del cuore. L’uomo deve respingere la tentazione all’agire peccaminoso.

"Come figli ubbidienti, non conformatevi alle passioni del tempo passato, quando eravate nell'ignoranza; ma come colui che vi ha chiamati è santo, anche voi siate santi in tutta la vostra condotta" (I Pietro 1, 14-15).